Premio letterario - Rita Pacilio finalista con due inediti al Premio Poetincorto Forlì 2011






1.      (Ispirazione da ‘Cuore sacro’ 
Regia Ferzan Ozpetek)



Alle quattro e mezza esco dal buio
è l’ora vuota di notte e di te.
Sono il resto del bicchiere nudo
giudicato dall’ignoranza di vetro.

Vengono le parole crude
a tagliare i diamanti caduti
dall’intonaco siderale di casa
eccomi a lavare pavimenti.

Come le sedie esperte dello spazio
si muovono lineamenti
ci incamminiamo fino al sangue
tu lieviti bocche e ne fai nidi.



2.      (Ispirazione da ‘L’amore è eterno finchè dura’
di Carlo Verdone)

Che sta franando ogni cosa da me
fardelli di fronde e rami verdi
guardata da lontano come un cane
giro la sera senza esattezza.

L’abisso cresce nella pancia
mi accorgo che il cuore non c’è
questi due topi rosicchiano
il pizzo della sottana blu.

Ci sarà polvere tra le cosce
            devi sverginarmi un’altra volta
insultare le pulci sulla foglia
punire con lo sguardo la paura. 


Rita Pacilio


(Inediti diritti riservati)

Partecipazione - Presentazione 'Angoli nascosti' di Claudio Moica' 1 luglio 2010


Il CIF comunale di San Giorgio del Sannio 
il Cif prov di Benevento
e L'associazione culturale 
'Le mele di Adelaide'
organizzano
l'incontro con l'autore
Claudio Moica 


letture da
'Angoli nascosti'


modera
Rita Pacilio e Cosimo Caputo


interviene 
on. Mario Pepe


Caffetteria Emirò 1 luglio 2010





Recensione - Pacilio su Conticello 'Barocco amorale'





Barocco Amorale
di Diego Conticello

Commento di Rita Pacilio

‘Barocco amorale’ è una provocazione poetica senza limiti spazio-temporali quasi a voler verificare se il lettore è pronto o meno ad accettare l’invito/sfida di lasciarsi ricondurre ad un valore linguistico ed euristico del verso.
La eccelsa prefazione di Silvio Ramat tratteggia l’opera in termini esplicitamente tecnici con un discorso anatomico e fisiologicamente culturale.
Piuttosto la mia lente si sofferma su come accade che un verso ‘altrove’ trasuda in egual misura la speranza e la malinconia, il dolore e l’eros, la disperazione e il pentimento e su come sia possibile che gli stessi accadimenti emozionali appartengano sia al lettore che all’Autore.

-         A Roma, alla Fiera ‘Più libri più liberi 2010’ presso lo stand LietoColle ho conosciuto Diego Conticello. Ci siamo scambiati i libricini e ci siamo ritrovati uno nel libro dell’altra. La magia della Poesia. Poche parole. Abbiamo letto alcuni versi ad alta voce, altri in silenzio. Diego giovanissimo, io donna matura. Entrambi non altissimi (mi piace sottolinearlo perché ho dovuto constatare che qualche Autrice, altissima, pensa che nei suoi centimetri le venga riconosciuta maggiore intelligenza, quindi maggiore qualità creativa!) Io e Diego ci siamo ritrovati nelle immagini semplici. Nelle emozioni in tensione, sospese tra un verso e quello successivo. Ci siamo ripromessi un incontro via mail. La magia della Poesia. 


 L’esperienza dei versi in comune non erano inerenti al ciclo vitale ma le valenze erotiche o eteree si distinguevano come angeli combattenti con archi e frecce.
Le cicatrici parlate con il corpo partono nel cuore: la Poesia del Conticello è una trasfigurazione estetica che addolcisce la realtà con una abilità laboriosa e sacrale. Le figurazioni sono sublimi e possono essere lette incrociando più memorie letterarie.

Rita Pacilio


Recensione - Pacilio su Sblando 'Due granelli nella clessidra'




Due granelli nella clessidra di Salvatore Sblando
Commento di Rita Pacilio

Due granelli nella clessidra è l’opera prima di Salvatore Sblando: una linea poetica suggestiva ed esperienziale che identifica lo ‘spazio’ e il ‘tempo’ della Poesia con quella zona di fusione e di congiunzione tra il mondo che percepiamo tutti i giorni e il mondo che ci sfugge, cioè tra ciò che possiamo conoscere razionalmente e ciò che conosciamo in modo intuitivo e sensoriale.
E’ proprio in quella zona che il Poeta si trova di fronte ai concetti e alle emozioni, ed è proprio lì che deve decidere se bisogna elevare tutto al simbolismo (Baudelaire). Subentra così la necessità di essere preciso e vago allo stesso tempo (Luis Munos). Ma il tempo non è nemico del sentimento, né una minaccia del quotidiano andare. Il tempo non si disperde nel rapporto corporeo con il mondo udibile e gustabile. (Verrai nuovamente tempo / a passeggiare sotto ponti). Il tempo nella poesia di Sblando si concentra sulle parole, nelle rapide visioni poetiche che si compongono tra i movimenti e i segni senza mai eccedere in una intensità carnale. E’ un percepire moderno dello spazio fisico, quasi un attraversamento ordinato e cronologico di un presente storico sullo sfondo di una Torino dei giorni odierni.
Al centro dell’attenzione dell’opera ci sono le figure, i soggetti che fanno posto ora ai rapporti ora ai desideri. (Siamo qui, soli / e non c’è respiro che sappia recitarti). Nessun’ansia o colpo di scena: ci troviamo di fronte ai racconti in versi e sono le nostre immaginazioni ad allineare le figure/simbolo in una parabola di insieme per farne cornice e per intercalarne le sezioni o in ‘un paesaggio possibile’ o in  ‘un altrove’.
La parte vuota della clessidra appartiene all’uomo nomade, che migra, che sa spiegare le ali, che cerca la definizione della sua identità: forse è in quella parte di tempo incomprensibile che ogni Esmeralda arriverà ad essere onda!
Rita Pacilio



Recensione - Pacilio su Esu 'Nuda, cruda poesia'




Nuda, cruda poesia di Maria Grazia Esu
Commento di Rita Pacilio

Instaurare una nuova visione.

E’ una tecnica cognitiva ‘afferrare’ un oggetto o un fenomeno come fosse un altro: ritrovo  questo processo nella raccolta poetica ‘Nuda, cruda poesia’ di Maria Grazia Esu.
Questa tipologia di tecnica, non è metafora o similitudine, riguarda l’elaborazione cognitiva di chi osserva un fenomeno. Quindi si tratta di uno ‘sguardo’ che svela una visione dell’oggetto che si osserva. Al lettore, infatti, Maria Grazia Esu mostra le sue intuizioni cognitive delle cose: ne chiede condivisione perché avverte il bisogno di far interagire la realtà con la proiezione dell’immaginario – Coprire il segreto del mio tormento -
L’Autore parla della magia del mutamento e ci spiega come cambiare, cadere, svanire, sfiorire o andare via.
Esu sa che il mondo delle cose è instabile e scorre la malinconia di determinati sentimenti umani attraverso una spiccata empatia con il resto del presente. Una sorta di essenzialità e di canto primario o come scrive Mario Luzi ‘la chiara e terribile semplicità dell’esserci’.
La riflessione offre elementi utili per accogliere la generosità dei versi – Riceverne il riflesso, nutrirmi –
 In ogni poesia vi abitano i ricordi personali e tutte le nostre emozioni. Gli effetti sono immediati e a volte riducono la storia e il tempo ad un irrisolto punto enigmatico. Una scrittura intrisa di musicalità forse non ancora completamente pronunciata ma che inizia a profilarsi all’interno delle sue germinazioni modulandosi prima nelle parole e poi nei conflitti del mondo.
La consapevolezza dell’enigma va oltre la semplicità dei luoghi interni perduti e ritrovati. Il concetto simbolico dello sguardo ha un significato che rompe lo schema della vita e della morte ed è certezza il percorso dello spazio che appare tutto consumato perché già percorso.
La promessa – Vai prima che ti sorprenda il buio - lascia aperte le ferite anziché guarirle.  Ecco perché la Poesia ha il compito di aspirare a divenire unguento.

Rita Pacilio



Partecipazione - Sermoneta 2009


Recensione - Pacilio su Polidori 'Alfabeto nel silenzio'





Alfabeto nel silenzio
di Marinella Polidori

commento poetico di Rita Pacilio
                       

‘Alfabeto nel silenzio’ è una raccolta che si colloca oltre il confine dello spazio emotivo.
 La Polidori assapora attraverso l’io lirico la luce del silenzio guardando con coraggio al di là e al di qua dell’emozione . Così il tempo umano è ‘Tutto e niente mi fa poco infine/ né crepuscolo né alba’.
L’Autrice trascorre con assoluta naturalezza la solitudine corporea: ’Se poi mi sento quasi sola/ ci riesco’, anzi ne fa il punto in cui l’agire emotivo porta allo scoperto tutta l’energia trattenuta.
Le ombre del suo tempo sono chiare: si tratta della consapevolezza di un saper riconoscere la soluzione ai problemi del momento. Il lettore ha l’intuizione che il ‘perché’ trionfa in una ‘logica d’azione’ e gusta l’emigrazione dei contrasti.
Alcune forme colte, delicate e raffinate ricordano il dire montaliano: ‘L’arredo è a mio piacere, non finalmente’ – ‘Anche noi sverniamo/sotto pensieri inventati’.
Spesso respiriamo aria di casa, di famiglia, di radici. Il racconto del quotidiano a volte triste, a volte pieno di speranza è allo stesso tempo spirituale e fisico. Qui la Poesia si impone anche nelle pause perché è capace di creare fascino ed empatia.
Il Poeta conosce bene se stessa e le vulnerabilità che appartengono al lettore. Sa ascoltare dentro di sé il mondo intero senza mai smarrire il senso dell’io libero ed incondizionato. Si identifica con il buio da cui estrae la sua espressività permettendo di trovare la sicurezza interiore per raggiungere il suo equilibrio.
Polidori non cade mai in banalità psicologistiche: riconosce le capacità della propria unicità sapendo trovare il legame autentico tra se stessa e il lettore. Chi legge percepisce i segnali del corpo e della mente ed impara a confrontarsi con modelli sociali creativi, infatti con una penna virtuale scrive a voce alta le forme del vasto territorio  che il Poeta continua a dire.
Si rassicura quando il concetto di fratellanza (sorellanza) rende possibile le interazioni e i cambiamenti. La parola dell’Autore supera le nostre paure e diventa punto fermo che quieta il pascoliano dualismo dell’essere umano: luce e ombra, illusione e realtà, suono e silenzio.

Rita Pacilio



Musica e spettacolo - 6 maggio 2010 Prado (CE) Lunaria Jazz


6 maggio 2010 Prado (CE)
 Lunaria Jazz 
Rita Pacilio e Luca Aquino
in concert

Recensione - Pacilio su Tardino 'I giorni della merla'





I giorni della merla’ di Sara Tardino
Commento di Rita Pacilio

‘I giorni della merla’ di Sara Tardino sono la scoperta di una atmosfera in cui l’Autore si scolla di dosso il peso della responsabilità della poesia postmoderna. Qui il dissidio interiore tra realtà e arte poetica è risolto nella rinuncia di imbrigliare ‘il verso’ nella vita normale.
La poesia, tipica del suo estro, diventa tempo nuovo, sperimentando lo spazio temporale come capacità armonizzante tra vita sociale e vocazione poetica. Il Poeta non si ripiega su se stesso, anzi ripercorre il senso della letteratura in una unica verità di significato che non vuole dire isolamento, ma profonda indagine intimistica intorno al movimento delle ‘parole giuste’.
Sara Tardino demarca un periodo intermedio al tempo: ‘I giorni della merla’ in cui si esprimono, con ampio respiro, le infinite gradazioni della sua scrittura. Talvolta il lettore incontra i significati diversi di una stessa voce/immagine quasi risuonasse accanto il razionale e l’irrazionale o la certezza e l’ignoto. Questo è il motivo per cui si sostituisce all’azione una pausa giocando il ruolo misterioso dell’intelligenza.
Rita Pacilio


Musica e spettacolo - 12° Padova Jazz Festival 'Lady Leader' Rita Pacilio 'Altri versi in jazz' 15 - 22 nov 2009



12° Padova Jazz Festival
 'Lady Leader' Rita Pacilio
 'Altri versi in jazz'
15 - 22 nov 2009

Antonello Rapuano
pianoforte
Pietro Condorelli
chitarra
Claudio Fasoli
sassofoni
Rita Pacilio
voce

Intervista - Vir-Us poesia intervista Rita Pacilio (agosto 2010)





http://www.vir-uspoesia.beepworld.it/


1.      Quando hai cominciato a scrivere e cosa hai scritto fino ad ora?

Rita Pacilio in Poesia nasce con me, da sempre. Ho scritto le mie prime ‘frasi poetiche’ a sei anni, quando ho cominciato a prendere la penna in mano. Ho avuto la fortuna di avere una Maestra, Maria Tortono, che fosse un Poeta. E’ stata lei, la prima, ad accorgersi del mio talento poetico. Sono stata fortunata da subito: lei mi ha seguita e mi ha indicato le letture da prendere come riferimento per la mia crescita personale. Ho cominciato a leggere Roberto Piumini, Ada Negri, Edmondo De Amicis, per passare immediatamente a Palazzeschi, Bukowski. Partecipavo ai Premi di Poesia indetti dalla scuola e quando avevo consensi e riconoscimenti la mia Maestra ne gioiva come fosse un Premio tutto per lei. La sofferenza con cui la vita mi ha messo in contatto prestissimo (avevo solo 9 anni quando morì il mio caro papà) è stata la mia seconda maestra. Intraprendere un cammino di solitudine affettiva e di confronto quotidiano con le difficoltà mi ha affinata e modellata non solo nel carattere e nella sfera emozionale ma anche nella scrittura e nella comunicazione con il mondo. Il mondo è diventato il mio interlocutore preferito: il mio ‘tu’ a cui rivolgere le innumerevoli domande e i miei ‘sentiti’ che diventavano sempre più profondi e consapevoli. Ho scritto di me e del mondo da sempre per sentirmi libera, così, di ridimensionare il dolore cambiando la prospettiva delle cose. Libera di catturare i momenti imprimendoli nelle pagine scritte dove prendono forma i pensieri. Ho scelto un percorso di studi, la Sociologia e la Psicologia sociale, che mi permettesse di fare tutto questo, che mi desse la possibilità di vivere l’altro da me come uno specchio per poterlo esplorare e che mi riflettesse i mondi plurimi che mi appartenevano. La musicalità delle scienze sociali, il ritmo delle regole e delle norme dei contesti, le armonie dei rapporti intimi e interattivi e le melodie delle affinità comunicative relazionali sono le stesse tre variabili che la Poesia e la Musica contemplano e intorno a cui si muovono. Non sono mai stata capace di scinderle. Mi sono occupata di interazione e comunicazione sociale e per la stesura di argomentazioni sulla ‘Famiglia’ nei ‘Quaderni di ricerca dell’Università’ ho elaborato alcune mie considerazioni sociologiche. Ho pubblicato i seguenti volumi di poesia: “Luna, stelle…e altri pezzi di cielo”- Edizioni Scientifiche Italiane (anno 2003); “Tu che mi nutri di Amore Immenso” – Nicola Calabria Editore (anno 2005); “Nessuno sa che l’urlo arriva al mare” – Nicola Calabria Editore (anno 2005); “Ciliegio Forestiero” – Lietocolle Libricini da collezione di M. Camelliti (anno 2006); “Tra sbarre di tulipani” - Lietocolle Libricini da collezione di M. Camelliti (anno 2008 “Alle lumache di aprile” - Lietocolle Libricini da collezione di M. Camelliti (anno 2010 ).

La poesia Mettimi in rima è stata inserita nel poetico diario Il segreto delle fragole 2007 Lietocolle; Inghiottimi nella sera stanca è inserita nel poetico diario Il segreto delle fragole 2008 Lietocolle; Ho puntellato l’orlo della gonna e Eros e santità (scritta a quattro mani con Adelio Rigamonti) è inserita nell’Antologia Rosso 2010 Lietocolle; Sotto il salice è inserita nel poetico diario Il segreto delle fragole 2011 Lietocolle.

Molte liriche sono pubblicate in Antologie Poetiche Nazionali e vantano numerosi premi in concorsi letterari nazionali. E’ autrice, inoltre, di racconti erotici, racconti di carattere sociali e di letteratura per l’infanzia (filastrocche, fiabe, favole e quaderni operativi corredati da schede didattiche).

Tra sbarre di tulipani Lietocolle riceve la Menzione d'Onore con Medaglia per la Sezione Libro Edito - Poesia Premio Città di Bellizzi Sa anno 2010. 
 Luna, stelle…e altri pezzi di cielo”- Edizioni Scientifiche Italiane (anno 2003) I Premio Concorso Nazionale di letteratura e poesia 'Calicantus' Patti – Messina.

Ho appena terminato di scrivere il mio primo romanzo poetico e mi sto guardando intorno per il suo inserimento nel mercato editoriale attuale.


2. Secondo te perchè molti pensano che la poesia sia morta? Tu mi sembri viva e vegeta...

A questa domanda, se mi permette, vorrei rispondeLe con una riflessione che ho fatto ad alta voce in seguito a interrogativi provocatori e suggestivi che il Maestro Giorgio Linguaglossa  aveva sollevato sul sito Lietocolle. L’argomento riguardava il rapporto tra l’italiano e i dialetti e la loro alienazione nel tempo. Trasferisco quella suggestione alla domanda altrettanto provocatoria che Lei mi pone in questo momento e parlando della morte della Poesia, in cui io non credo affatto, mi va di riportarle integralmente quella mia riflessione: (http://www.lietocolle.info/it/r_pacilio_in_risposta_a_linguaglossa_dialetto.html )

Rita Pacilio riflette ad alta voce dopo la lettura di
‘La questione del rapporto tra l'italiano e i dialetti' di Giorgio Linguaglossa
  Nel passato storico ritroviamo società che credevano che gli eventi e le vite ritornassero. Non c'era preoccupazione alcuna per l'avvenire sociale. I Greci, per esempio, sentivano il futuro come un prosieguo e non un cambiamento della condizione umana. Quando in Occidente trionfò il Cristianesimo, che prometteva una vita dopo la morte, ci fu una fortissima concentrazione sulla conquista dell''eternità ed un deconcentrarsi sull'avvenire della società. Solo con il progresso scientifico è avvenuto un ridimensionamento tra la ragione umana che cercava di dissolvere mali sociali e la coscienza religiosa e quotidiana (Yves Bonnefoy). Eppure nel quadro inquietante in cui oggi tutti siamo gli autori, parliamo di poesia e di rapporto tra la lingua e i dialetti o di dove va la poesia e se c'è una post poesia. E così perdiamo la fiducia nelle intuizioni soffermandoci sulla decifrazione di contenuti concettualizzabili in una condizione di differita. La Poesia è un continuo ritorno al reale (Y.B.) e ci restituisce il senso delle cose così come sono. Come un'antenna sensibile che registra le sequenze delle immagini allusive e fuorvianti. Si aprono vie tra le parole con le parole e gli usi imprudenti o saggi dei dialetti mettono in pratica l'ostinata volontà di suonare le esperienze della propria terra dove i sogni sono prigionieri. Il bisogno di generalizzare diventa a volte una spinta incontenibile e credo anche speculativa. Il pensiero poetico non può mettere le catene agli eccessi, anche minacciosi, dell'utilizzo dell'‘altro da noi'. La tensione è verso l'allontanamento dell'io dalla scintilla che porta al reale. La trappola è tesa. Può essere la post poesia a liberare l'uomo dall'inquietudine, o è essa stessa turbamento? Credete sia ingenuo l'interrogativo? Ormai è disprezzata l'evocazione del sogno e della sua verità. E la parola sottende ancora la pulsione e il soffio interiore? Incorono la lettura del mondo e coloro che lo guardano con gli occhi aperti. E tra trenta anni al Maestro dirò (anche se non sono un notaio) che le relazioni tra le materie sonore saranno identiche a quelle di oggi. Come la presa di coscienza e l'incapacità di staccarsi dall'attimo che fugge. Percezione questa suscettibile di essere sostituita o defraudata. (Rita Pacilio)
La Poesia non è morta e lo testimoniano le voci poetiche del nostro tempo che nonostante il difficile momento storico-economico-politico che stiamo vivendo, avvertono la necessità della pulsione e del soffio interiore per guardare e vivere completamente questo nostro mondo.


            3. Con quale poeta faresti un bel pic-nic al parco?

Se potessi vorrei fare un bel pic nic nel parco con molti Poeti contemporanei che stimo molto, con Adelio Rigamonti per parlare tra un panino e l’altro, di tecnica poetica e di metrica; con Giorgio Linguaglossa (che oltre ad essere critico letterario lo ammiro anche come Poeta) per parlare di Poesia e Post – Poesia e di Poetica al femminile, di cui mi interesso ultimamente; con Annamaria Farabbi, Gianpaolo Mastropasqua, Lucia Pinto, Fabiano Alberghetti, non per ultimo il mio Editore–Poeta Michelangelo Camelliti.

Scelgo però per un picnic speciale l’Autore Claudio Moica che ho preferito avere accanto nella mia interazione poetica a quattro mani in un video ‘Volerti’ presente su youtube in cui le voci poetiche si alternano in una sequenza ritmica di emozionanti e suggestivi versi sfocianti in un dialogo poetico già strutturato in un percorso che è in programmazione Lietocolle per l’anno 2011. Poeta-Scrittore sardo Claudio Moica (1963) è nato in Sardegna. Ventenne si trasferisce a Firenze per poi tornare dopo circa vent’anni nella sua Isola d’origine. Fonda l’associazione culturale “Suergiu uniti nella cultura” di cui è Presidente e come Direttore Artistico organizza la “Fiera del libro del Sulcis-Iglesiente”. Affianca gli insegnanti delle Scuole Primarie nei laboratori di Scrittura Creativa. E’ stato Presidente di giuria e giurato in premi letterari nazionali. Nel 2008 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano gli concede l’onorificenza di Cavaliere della Repubblica Italiana per meriti socio-culturali.

Ha pubblicato i seguenti volumi di poesia: “Vertigini di vita”- Lampi di stampa (anno 2004); “Oltre lo sguardo” – Edizioni Il filo (anno 2005); “Angoli nascosti” – Edizioni Il Filo (anno 2008).

Vincitore di numerosi premi letterari nazionali nel 2005 la poesia “L’uomo nella torre” risulta finalista alla Biennale di Poesia a Venezia, recitata successivamente dall’attore Arnoldo Foà.
Molte liriche sono pubblicate in Antologie Poetiche Nazionali. Ha collaborato insieme a personaggi del mondo della cultura e politica nazionale alla stesura del libro patrocinato dalla Presidenza del Consiglio della Regione Sardegna “Canne al vento in ricordo di Grazia Deledda”. Su di lui sono apparsi svariati articoli su testate giornalistiche nazionali (“La Nazione” – “Radio corriere tv” – ecc.).

4. Com'è nata questa commistione tra poesia e musica, e in cosa consiste?

Quando ero bambina ascoltavo musica classica. In casa di domenica era abitudine ascoltare in silenzio religioso le Quattro stagioni di Vivaldi. Quando arrivava la Primavera io cominciavo a ballare e sentivo nell’aria un profumo che mi inebriava. Sono diventata mamma giovanissima e il mio primo parto oltre alla gioia di un bel bimbo mi ha anche portato una malattia rarissima e un coma. Quando sono uscita dal coma ho avuto tanto tempo libero che ho dedicato all’ascolto della musica e la grande Billie Holiday è stata la mia amica di stanza. Mi ha tenuta compagnia per un lunghissimo tempo. Avevo in casa tutti i suoi dischi in vinile, quelli di Ella, di Amstrong, ma anche di Patitucci, di Miles Davis e tantissimi altri. Così ho imparato con lei a tenere un tempo diverso. Tutto quello che avevo studiato prima e cantato prima sembrava appartenesse ad un altro emisfero. Ero entrata in un’altra dimensione. Billie parlava un linguaggio nuovo. Me lo diceva mentre ritardava sulle armonie e mentre cambiava le melodie dei brani. Improvvisava con una voce che non usciva dalla gola ma dall’anima. Cominciai ad avere voglia di saperne di più. Mi aggrappai alla vita di nuovo. Gli accenti del jazz mi avevano fatto uscire dalla depressione del post coma. Volevo capire cosa mi stava facendo quella donna che nella voce aveva lo strazio del mondo e che mi stava salvando la vita. Avevo solo 27 anni. Billie Holiday non lo poteva sapere ma stava diventando la mia Prima Grande Maestra jazz. Non appena cominciavo a riprendermi, ho cercato di mettermi in contatto con le Scuole Private del Jazz Moderno qui nel Sud Italia. Ho conosciuto Paola Arnesano e Luigi Di leone a Bari che sono i maestri della Scuola Il Pentagramma a Bari dove ho studiato due anni. Poi sono passata alle masterclass e ai Laboratori tecnici di Calo Lomanto presso il Noir a Napoli e a quelle di Jay Clayton ed Eva Simontacchi e G. Mena a Novate Milanese. Ho perfino superato gli esami di ammissione al II livello del Conservatorio di Benevento Classe Jazz, ma poi mi sono ritirata per motivi familiari. A Milano condivido lezioni studio con Claudio Fasoli, con cui ormai è nata una collaborazione di lavoro che ci porterà alla splendida realizzazione del nostro primo album che a breve registreremo. Fasoli ha scritto molti brani per le mie poesie e così abbiamo realizzato un progetto che vorrei presentare prima della fine dell’anno. E’ nel 2006 che è nato ‘Jazz in versi’: Poesia e musica jazz: contaminazioni.
Si tratta di una proposta progettuale ideata e curata da me i cui accompagnamenti jazzistici, l’utilizzo delle improvvisazioni degli strumenti e l’educazione al suono tecnico, colto e raffinato creano la giusta atmosfera per parlare attraverso la poesia un linguaggio universale: l’emozione.
La scelta del repertorio è legata alla voglia di proiettare con immediatezza il senso profondo dell’esperienza umana e musicale della tradizione ormai consolidata del jazz moderno. C’è la sottile ricerca della poesia jazzistica capace di conciliare con arcana naturalezza swing e colloquialità di fraseggio, immaginazione musicale e intimità comunicativa. Carisma. La Poesia quindi si fonde con la musica e completa la mia esigenza emozionale di esprimermi attraverso le due forme d’arte che mi appartengono da sempre.

Ho partecipato a manifestazioni di settore come “Sannio Fest”, “Ceppaloni jazz e blues”, “Quattro notti e più…di luna piena” “Artisticamente parlando”, Festival jazz ‘Special event’ al Doria a Milano, “Festival jazz di Torre Gaia”, ‘Ore di jazz’ al Club jazz Charleston ad Avellino, Estate a Roma 2009: “Roman’s lungo il Tevere”, Festival Padova jazz 2009. Semifinalista Kantafestival 2009.
Ascolto Scheila Jordan, F. D’Andrea, Luca Aquino, Paolo Fresu, Maria Pia De Vito, Massimo Colombo, Anne Ducros, Roberta Gambarini, Diana Krall, Judy Niemack.


5. . Il tuo scrivere segue delle regole o delle scelte precise?
Certo, la mia scrittura risente e ne è notevolmente influenzata, dalla lettura di Maestri, per me modelli di riferimento, e da Autori che percorrono con me il loro cammino poetico. Sono cresciuta dal confronto e dalla messa in discussione quotidiana del mio essere Artista ma soprattutto Persona. Ammiro le innumerevoli modalità di scrittura che ultimamente apprendo dai miei colleghi. Spesso sono severa nell’esprimere un mio modesto parere critico e mi sorprendo di ritrovare tanta presunzione e arroganza nella definizione dei propri elaborati espressivi. La Poesia è nobile e va salvaguardata, non sempre può essere tradita o maltrattata da chi vuole dire in poesia ma non ci riesce o non ci riesce completamente.
Avevo cominciato a scrivere utilizzando ‘il verso libero’ che avesse ritmo, melodia e armonia. Poi ho approfondito corsi di  ‘scrittura creativa’ seguendo anche un percorso professionale attraverso lo studio dei lavori teorici di Cristina Balzaretti. Ho modellato la mia poesia e sono entrata nel mondo dell’enecasillabo, grazie al Poeta-Maestro Adelio Rigamonti, e del posizionamento del verso in terzine o quartine. Mano a mano mi sono accorta che acquisivo un mio stile poetico che si è andato strutturando nel tempo senza che il mio studio lo impoverisse di originalità contenutistica. ‘I versi sono per lo più endecasillabi forti, ritmicamente evocativi, anche nella loro impurezza metrica. Il rifiuto sistematico della sinalefe nel computo delle sillabe, con un conseguente arretramento de­gli accenti, diventa, a mio avviso una sorta di firma stilistica dell'autrice’ (dalla prefazione di Adelio Rigamonti ‘Alle lumache di aprile’ Rita Pacilio – Lietocolle) . Adesso sono qui, certa di non essere arrivata ancora a lei ma consapevole di aver avuto la fortuna di avela conosciuta.
Da ‘Alle lumache di aprile – Lietocolle 2010 e da ‘L’ustione della poesia – Lietocolle 2010 la mia descrizione poetica del mio essere ‘ustionata’ dalla Poesia:
Così rievocavo le identità e gli irresistibili impeti sforzandomi di consolare il disincanto dell’apparenza della mia identità e dei ruoli degli altri.
Avevo sei anni, forse meno. Cominciai senza la penna in mano. Senza fogli.
Mi apparivano i doppi fondi delle cose e ne ero in balìa: non conoscevo ancora il modo per diventarne padrona.
Ancora adesso non lo conosco.
Sapevo di essere una dissonante intuizione ma quel ‘pensiero’ nascosto mi esplorava dall’alba di ogni giorno.
Mi confortava spiazzandomi tra paradossi e aforismi.
Mi faceva male a volte, mi possedeva da uomo.
Sentivo l’ingenua e pessima traduzione dell’oltre e cresceva.
Si dilatava.
Si moltiplicava.
Gli occhi spalancati hanno guardato gli eccessi dell’interiorità e sentivo che niente mi capitava invano. La responsabilità del controllo e del crollo del mio essere ha elevato i sensi.
Ogni cosa di me era in movimento.
Mi riparavo nelle rientranze della mano ma la sporgenza delle dita mi proiettava nell’aria in modo deciso e austero.
La trasgressione è diventata portatrice dell’ansia della banalità dei luoghi comuni. Così si è tracciata una strada che percorrevo da sola e pur sapendo di cancellare ogni passo, non tornavo mai indietro.
Sfumata, fluida, flessibile, spesso irresistibile, ambigua, appariscente.
Perversa e arresa.
Umile.
Persa.
Senza scampo.
Guardare nel buco dal buco qualcosa che non sapevo di avere.
Mi intrigava il fastidio, l’imbarazzo dell’etichettamento. Mi spiazzava l’indifferenza e rimuovevo il ‘tutto è possibile’. Sapeva che ero sua schiava: mi faceva indossare il velo e poi mi spogliava di fronte allo specchio.
Abitava negli aspetti essenziali della mia identità.
Dava vita a forme autentiche di reciprocità. Sapeva che non volevo la tolleranza, ma avevo bisogno di essere rispettata e compresa.
Accolta: una virtù come una forma di passaggio simmetrica scandalosa e pudica. L’immaginario fiabesco rappresentava la mia infanzia adattata al mutamento del personaggio che ero diventata.
Lei mi modellava.
Era quasi un incesto.
E non mi sentivo colpevole se mi stavo innamorando di lei e lei di me.
Un amore sparso nelle vene del polso destro, dove solo i segreti degli amanti possono mettere in scena l’affermazione del simbolismo del piacere.
Ho soddisfatto i bisogni della dipendenza per avere in cambio le poche cose che fanno stare bene.
Ho goduto il dolore presente nel ricordare la passione passata.
Ho lasciato mi violentasse il tormento irragionevole per assaporarne la saggezza solitaria. L’ho idealizzata.
L’ho battezzata dea.
Le ho lasciato il gusto di adottarmi come figlia.
Nessuno mi ha fatto domande diverse e non ero pronta al rifiuto: così la reazione di carne ha evitato i misteri ed ha accumulato giorno dopo giorno la testimonianza delle radici future.
Qualcuno mi ha chiamata ‘piantina di vetro’. Una luce di fuoco traspare. Lei lo sa.
Ha avuto il coraggio di promettermi che mi aspetta.

Rita Pacilio



Recensione - Pacilio su 'Dialogo con Dio' di Luca Grancini



Dialogo con Dio di Luca Grancini
Commento poetico di Rita Pacilio

Nel ‘Dialogo con Dio’ Luca Grancini si pone ‘come un bambino indeciso’, o ‘come un bambino che si era perso’ evocando Dio come un interlocutore dell’io poetico. A Lui affida i segni erratici delle sue considerazioni etico-religiose mettendosi a nudo senza protestare, ‘Mettersi a nudo di fronte all’assoluto/ dimettere i propri abiti di nano’.
L’uomo del novecento è totalmente disarmato di fronte all’ispirazione religiosa ed apre un contenzioso con Dio accusandolo di non proteggere abbastanza le proprie creature (Sentimenti del tempo – Ungaretti). La rilevazione sociologica evidenzia  che nel passato si era avvezzi alla legge naturale delle calamità, della guerra e della morte.
Nella modernità, invece, il benessere e la scienza hanno dato l’impressione di poterle gestire o addirittura debellare. Questa l’illusione che ha provocato un forte senso di vuoto facendo avvertire il naufragio e la necessità di ri-mettersi in cammino verso la ‘Terra promessa’. Dio è visto come l’unico detentore delle risposte che quietano l’animo umano superando il dogma, il mistero, l’Istituzione ecclesiastica e il culto.
Tutto si genera in un colloquio intimo con Lui: ‘Ti immaginavo seduto sul mondo’. Grancini instaura un rapporto privato con Dio (Rebora, Toroldo) nel suo viaggio di risalita verso ‘la meta/ la montagna eterna’ con una tenacia romantica che rimanda al Faust di Goethe.
Anche l’oscuramento del bene e del male di Pirandello ne ‘Il fu Matia Pascal’ si trasforma nell’abbandono e nello smarrimento dell’uomo sfociando nello scoramento Schakespeariano di Amleto dilatandosi nel dubbio della fede: ‘solo l’appartenenza dell’idea rivendicavo/ solo quello/ solo la sua realtà io ricercavo/ nulla più’.
Eppure Grancini non si scopre alla deriva, né, perso in se stesso, cancella il Padre: ‘Costruivo Dio con pazienza/ giorno dopo giorno’. Anzi, dà un senso al labirinto esistenziale confortando il lettore con la testimonianza di un Dio che ‘invaderà col miracolo della grazia/ l’anima di chi cerca’.
Lo sfondo mistico non esclude un laico tormento (Rimabaud) mentre l’Autore, senza scampare alla notte in cui la fede vacilla, addomestica il dolore offrendolo al mondo, in ‘Solodieci Poesie’, come un prolungamento etico del proprio ‘Dialogo con Dio’: ‘Solo il tempo di vedere nell’ombra/ le nebbie delle tue cime/ e poi scomparirò/ come un figlio del caso/ nel nulla della distruzione.
Rita Pacilio 

http://www.lietocolle.info/it/r_pacilio_su_grancini.html

Recensione - Pacilio su 'Lasciati tradire' di Claudio Moica


Lasciati tradire
Claudio Moica e Luca Sacchetti

Commento Rita Pacilio

‘Lasciati tradire’ è un lavoro a quattro mani realizzato da Claudio Moica e Luca Sacchetti che si racconta  a cuore aperto e con coraggio. Può essere definito un testo terapeutico psicosociologico perché affronta tematiche psicosociali come l’anoressia, i rapporti genitoriali, la famiglia, la famiglia allargata, l’integrazione multietnica, la solitudine sociale, l’emarginazione territoriale.
A compromettere l’equilibrio degli intrecci di ogni storia di ‘Lasciati tradire’ è la sofferenza inespressa: il sacrificio personale che ognuno ha archiviato dentro se stesso. Spesso diamo per scontato i nostri sentimenti e quelli dell’altro. Così quando affiora il dolore emerge con toni ricattatori come una ‘voglia di morire di fame’: un credito da riscuotere. Oppure i malintesi di una coppia in cui ognuno interpreta l’altro in base alla propria esperienza, al proprio vissuto familiare, al proprio passato. ‘Alla base del malinteso, dice Vignati (psicoterapeuta) c’è la scarsa comunicazione’, cioè non ci si ascolta. Raggiungere la metacomunicazione vuol dire ritrovare l’intesa iniziale: e il marinaio lo scopre partendo da se stesso, dalle proprie paure. E’ il vuoto e la mancanza dei gesti che lascia spazio all’immaginazione, all’insicurezza, deludendo le aspettative. E i viaggi dentro e fuori di noi o la  ricerca altrove di noi stessi.
“L’esperienza del dolore è un fenomeno globale che prende sia la sfera fisica che quella psichica e culturale. “L’indolenza scientifica, la lentezza burocratica, il moralismo – quanti ammalati, quale moltitudine hanno penalizzato? ” [1].
Non si può prescindere dal Settore Sanitario quando parliamo di “dolore inutile” … Il dolore non è una fatalità, bisogna imparare a guardarlo in faccia e trattarlo. Questo principio non interessa solo il nostro corpo: … sono ammalati anche tutti coloro che non hanno voce nella famiglia o nella società, coloro che sono a rischio di esclusione sociale o già esclusi, che vivono la precarietà delle relazioni umane. E’ necessario lo sviluppo di una cultura che dia ampia attenzione a queste esigenze; c’è bisogno di un orecchio che ascolti le parole indiscrete e i silenzi… è necessario dare risposta alla situazione di sofferenza psicologica che porta con sé l’incertezza del futuro con serie distorsioni delle aspettative e delle proiezioni della realtà…. Bisogna saper ascoltare il dolore fuori di noi e quello dentro di noi. Se si evita di parlarne non si risolve il problema…ma acquisire la capacità di far pace con il mondo fuori attraverso il percorso fatto dentro.” (Quaderni del Centro Studi di Diritto dell’Università degli Studi del Sannio: “Al di la delle parole” a cura di R. Pacilio) Sembra indispensabile liberarsi degli stereotipi e ritornare agli archetipi junghiani, quello della nostra essenza primitiva. I personaggi di ‘Lasciati tradire’ ci insegnano attraverso le loro fragilità umane a spogliarci di tutti i condizionamenti della società moderna e a condividere con loro momenti di vita per ritrovare contatti autentici con l’energia interiore. L’inquietudine lascia sempre un discorso in sospeso e trasmette un disagio più o meno visibile che confonde il lettore/attore spesso in bilico tra finzione e reale. Così il tempo per amare dilata il tempo per vivere. Fino alla fine. Come il cammino più o meno burrascoso fatto di luci e ombre tra il destino della figlia e il suo rapporto con la madre. L’adolescenza, la fase del distacco sia fisico che psicologico per conquistare la propria autonomia, il cambio dei ruoli con la maternità. Complicità, gelosie, amori, rapporti conflittuali, come un punto di partenza e di arrivo. Punto indissolubile da cui può nascere autonomia o una prigionia. Il dialogo con la madre può permettere anche la magia di  risolvere un rapporto conflittuale mai comunicato con il padre.
Non bisogna mai sentirsi colpevoli dei propri errori e delle proprie fragilità! E’ la stessa psicoanalisi che ci insegna a non rimuovere o cancellare gli errori commessi nonostante la famiglia o la società ce lo impongono perché prima o poi questi riaffiorerebbero con maggiore forza e con sofferenza. Sappiamo che dentro di noi dobbiamo imparare a far spazio a tutto venendo a patti con noi stessi: un compromesso che viene a sondare il nostro mondo emozionale. Gli strumenti sono la gentilezza, il silenzio, la lentezza, il dono, l’amore, l’abbandono; ecco perché Rousseau diceva che ‘nel frastuono delle passioni non si riesce a sentire niente’.
 ‘Lasciati tradire’ è un messaggio di saggezza. Ogni intreccio doloroso lascia distanze accorciate. Spazi emozionali. Viaggi interni, terre, mari, itinerari, ricerca di se stessi. La sfida di imparare la sconfitta. Il piacere di condividere dualismi. Stabilire le priorità. Risolvere i conflitti nella prospettiva della bellezza interiore come unico motore possibile che ci aiuta a rialzarci per ritrovare altri percorsi. Strade diverse.
Rita Pacilio

http://www.claudiomoica.it/

[1] S. Zavoli, Il dolore inutile. La pena in più del malato, Garzanti Libri, Milano, 2005

Intervista - Mario Fresa intervista Rita Pacilio per l'Arca Felice (luglio 2011)




Mario Fresa intervista Rita Pacilio (http://edizionilarcafelice.blogspot.com/)

Qual è il segreto progetto a cui tende la tua scrittura?
Vorrei tanto che la mia scrittura subisse, nel tempo futuro che mi è concesso, una ‘spoliazione’ dell’elemento amoroso-soggettivo-temporale per meglio interpretare nel gioco espressivo dell’epos, la storia dell’uomo come particella infinitesimale dello spazio/tempo che appartiene all’universo atemporale. Vorrei, quindi, arrivare segretamente nei meandri creativi dell’umanità geniale per sorprendere la mia commozione e trovarla impreparata a me stessa.

Come nasce, in te, una poesia?
La poesia è un atto di fede, è una gioia consumata, è un richiamo di suoni multipli e multiformi. Gli echi innumerevoli dei contrasti e del rischio di fare letteratura mi hanno sempre drammaticamente portato verso un tormento che qualcuno ha definito ‘umile destino’. Spesso ho creduto che l’aspirazione a ‘fare poesia’ fosse un atteggiamento instancabile tra dialoghi contrapposti: due voci dissonanti, una egocentrica, correttrice e creativa, l’altra schiava, protettrice e instancabilmente fragile. Il mio ‘fare’ versi è una necessità che nasce da una rivolta interiore. Mi piace riportare qui di seguito il mio sentire la ‘poesia’ dentro, perché non riesco a dire diversamente:
‘Così rievocavo le identità e gli irresistibili impeti sforzandomi di consolare il disincanto dell’apparenza della mia identità e dei ruoli degli altri.
Avevo sei anni, forse meno. Cominciai senza la penna in mano. Senza fogli.
Mi apparivano i doppi fondi delle cose e ne ero in balìa: non conoscevo ancora il modo per diventarne padrona.
Ancora adesso non lo conosco.
Sapevo di essere una dissonante intuizione ma quel ‘pensiero’ nascosto mi esplorava dall’alba di ogni giorno.
Mi confortava spiazzandomi tra paradossi e aforismi.
Mi faceva male a volte, mi possedeva da uomo.
Sentivo l’ingenua e pessima traduzione dell’oltre e cresceva.
Si dilatava.
Si moltiplicava.
Gli occhi spalancati hanno guardato gli eccessi dell’interiorità e sentivo che niente mi capitava invano. La responsabilità del controllo e del crollo del mio essere ha elevato i sensi.
Ogni cosa di me era in movimento.
Mi riparavo nelle rientranze della mano ma la sporgenza delle dita mi proiettava nell’aria in modo deciso e austero.
La trasgressione è diventata portatrice dell’ansia della banalità dei luoghi comuni. Così si è tracciata una strada che percorrevo da sola e pur sapendo di cancellare ogni passo, non tornavo mai indietro.
Sfumata, fluida, flessibile, spesso irresistibile, ambigua, appariscente.
Perversa e arresa.
Umile.
Persa.
Senza scampo.
Guardare nel buco dal buco qualcosa che non sapevo di avere.
Mi intrigava il fastidio, l’imbarazzo dell’etichettamento. Mi spiazzava l’indifferenza e rimuovevo il ‘tutto è possibile’. Sapeva che ero sua schiava: mi faceva indossare il velo e poi mi spogliava di fronte allo specchio.
Abitava negli aspetti essenziali della mia identità.
Dava vita a forme autentiche di reciprocità. Sapeva che non volevo la tolleranza, ma avevo bisogno di essere rispettata e compresa.
Accolta: una virtù come una forma di passaggio simmetrica scandalosa e pudica. L’immaginario fiabesco rappresentava la mia infanzia adattata al mutamento del personaggio che ero diventata.
Lei mi modellava.
Era quasi un incesto.
E non mi sentivo colpevole se mi stavo innamorando di lei e lei di me.
Un amore sparso nelle vene del polso destro, dove solo i segreti degli amanti possono mettere in scena l’affermazione del simbolismo del piacere.
Ho soddisfatto i bisogni della dipendenza per avere in cambio le poche cose che fanno stare bene.
Ho goduto il dolore presente nel ricordare la passione passata.
Ho lasciato mi violentasse il tormento irragionevole per assaporarne la saggezza solitaria. L’ho idealizzata.
L’ho battezzata dea.
Le ho lasciato il gusto di adottarmi come figlia.
Nessuno mi ha fatto domande diverse e non ero pronta al rifiuto: così la reazione di carne ha evitato i misteri ed ha accumulato giorno dopo giorno la testimonianza delle radici future.
Qualcuno mi ha chiamata ‘piantina di vetro’. Una luce di fuoco traspare. Lei lo sa.
Ha avuto il coraggio di promettermi che mi aspetta.’ (R.P. ‘Alle lumache di aprile’ – LietoColle 2010)

Il poeta parla di ciò che realmente vive o di ciò che vorrebbe ricevere, e che sempre gli sfugge?
Credo che  tutti gli autori scrivono per somiglianza o per differenza tentando un elaborato anomalo e innovativo per commuoversi e per commuovere mettendosi alla prova, spesso, in modo tortuoso e complicato e interpretando se stessi. (http://www.lietocolle.info/it/press_poesia.html). Credo che la spinta propulsiva alla scrittura sia la disperata ricerca (come quella leopardiana) di una piena e totale e a volte inspiegabile felicità, ecco perché ogni abisso dolorante e angoscioso si trasforma in una forma espressiva, spesso impercettibile anche a chi scrive, oltre che a chi legge, che è la sostanza della poesia.

La poesia è salvazione?
Se la poesia non si limita ad essere la ‘lode delle cose perdute’ o ‘l’assillante dialettica epistemologica tra l’uomo, Dio e la natura’, allora si può affermare che ha un potere salvifico, perché diventa comunicazione tra tempo e spazio fatto dagli uomini. La poesia è la più alta creazione artistica capace di dare un senso alla speranza comunicativa come crescita sociale.

A quale gioco della tua infanzia vorresti paragonare la tua poesia?
Ho smesso di giocare a nove anni, quando è morto il mio papà, quando il sipario della mia vita ha cambiato colore. Nei ricordi lontanissimi del ‘gioco’ trovo le mie braccia sottilissime a farsi culla per l’ultima bambola. I miei versi sono accoglienza di sensi e di anima, insieme.

Che cosa ti ha insegnato la frequentazione della scrittura poetica?
Confrontarmi con chi scrive poesia e di poesia è l’esperienza più significativa e formativa che abbia mai fatto. Ho imparato, attraverso l’interazione con le altre scritture, che non bisogna mai raggiungere una ‘occupazione’ ma bisogna guardare in modo fisso all’aspirazione’.

Qual è il grado di finzione e di mascheramento di un poeta?
La poesia, secondo me, dovrebbe toccare la verità  universale, quindi dovrebbe tendere ad eliminare l’elemento ‘finzione’ interno a se stessa. E’ vero, chi scrive spesso si rifugia in uno spirito dialettico ricercando l’attrito tra il vissuto personale e l’espressività fonetico/metrica, ma non credo che sia indispensabile cercare l’equilibrio tra la maschera e il volto: le due realtà vitali presenti nella poesia non si oppongono, ma l’una presuppone l’altra.

Vorresti citare un poeta da ricordare e da rivalutare?
Dino Campana.

Qual è il dono che augureresti a un poeta, oggi?
A tutti i poeti in vita auguro parole nuove, agli autori di oggi, numerosissimi, consiglio di leggere i poeti e di rileggerli, prima di ambire al ‘podio’.

Puoi citare, spiegando perché, un verso che ti è particolarmente caro?
‘Tu non puoi torturarmi con la tua incostanza,
ne va della mia vita col tuo disdegno.
’ W. Shakespeare
Questo verso ha tutta la forza dell’impotenza del genere umano di fronte alla colloquialità spezzata: la poesia è comunicazione e qui si avverte l’amarezza di una interazione respinta e la necessità universale dell’uomo di partecipare, sempre e comunque, all’altro.
 Rita Pacilio