Evento - Concerto per il Quarto Re Magio - Rita Pacilio 5 gennaio 2012 San Giorgio del Sannio BN



Concerto per il quarto Re Magio
‘Aver fede nella fede possibile’




Antonello Rapuano pianoforte elettrico
Vincenzo Saetta sax alto
Giovanni Francesca chitarra elettrica
Rita Pacilio voce e autrice dei testi 




5 gennaio 2012
Ore 19.00
Auditorium comunale ‘Al Cilindro nero’ Via Mario Lanzotti San Giorgio del Sannio Bn


‘Aver fede nella fede possibile’

Dalle librerie dell’ottocento un ulteriore monito alla mortalità umana, alla precarietà della vita, al disordine esistenziale: … - ‘Tu che fremi? – Ah! Ch’io morii nel nulla/ io ch’ero nato a  vivere immortal!... (‘La morte del ricco’ - G. Pascoli).  E’ indubbiamente nel segno della ‘morte’ che si costruisce il vero luogo dell’esperienza di riflessione spirituale cristiana. La morte intesa non come chiusura beffarda delle cose, ma come l’esaltazione della vita eterna donata dal Divino.  Bisogna, dunque, alimentare ‘la speranza di aver fede nella fede possibile’ (Yves Bonnefoi) cioè  in una speranza illusoria e ingannevole spesso governata dalla paura e dal vuoto esistenziale? La metafora dell’esistenza viene testimoniata dal lavoro dalla scultrice Monika Grycko che nella sua opera d’arte ‘L’enigma del quarto re mago’ mostra ‘il suo operare (oltremodo evocativo) e la sua poetica più che manifesta, in particolare quando  raggiunge sintesi di crudo impatto e di ferrea denuncia nei confronti della finzione, dell'ipocrisia e della desacralizzazione, valori negativi che pervadono i nostri tempi, minandoli eticamente’ (Gian Ruggero Manzoni). Il racconto liturgico-fiabesco del quarto re magio, personaggio legato ad una antica tradizione cristiano-ortodossa e ripresentato poeticamente anche da Michel Tournier, interpreta con una voce corale l’ intransigenza nei confronti dei diritti inviolabili e del rispetto dei talenti ricevuti (rispetto dal latino guardare, volgere l’attenzione). Si tratta di una figura di un re messaggero di forza e di coscienza della Natività intesa come un destino comune di vita e di morte e di infinita sete di conoscenza, ma anche di un personaggio che, arrivando in ritardo all’appuntamento con il Bambin Gesù, condivide la superficiale distrazione umana. ‘Le creature che l'artista polacca modella in lucida ceramica appartengono a specie decadute da una gloria precedente, drammatiche nel loro narcisismo e al contempo nella loro continua inadeguatezza: non possono più essere umani né animali. Questa civiltà è stata schiacciata dall'incapacità di osare una mutazione che la riportasse al di fuori del circolo vizioso creato da “capacità di conquista/acquisto - atrofizzazione dell'umano - soggiogamento fisico o psicologico di cose o persone” (Roberta Gucci Cantarini). I Re Magi, che dall’oriente si dirigono a Betlemme seguendo la stella cometa, citati nel Vangelo di Matteo (2,1 – 2,12) identificano la sconfitta e il trionfo della vita. La stella cometa diventa punto denso di un traguardo spirituale; ogni personaggio è aderente ad un’unica fisionomia reale fatta di debolezze umane giustificabili. Non si tratta di statue rigide senza parola ma le forme evidenziano l’aridità dell’indifferenza umana.  Il tempo non sempre scompagina il funzionamento degli ingranaggi delle cose occultandone le combinazioni significative, ma, come in questo caso, ne chiarisce il funzionamento e spesso le spiega. L’uomo di ogni epoca è venuto a trovarsi di fronte a quesiti legati alla tradizione religiosa sperimentando un ritmo evangelico come imprinting originario della salvezza. La fede del quarto re magio è la disposizione dell’uomo a riconoscere i propri limiti, il saper guardare alla trascendenza accogliendola  per gioire della presenza del Signore. Il suo ‘arrivare in ritardo’ ad ogni appuntamento ci rimanda al nostro stupore della vita, delle persone, delle cose e degli avvenimenti che spesso ci fanno rallentare l’incontro con Dio. Gli urti e gli scontri con la quotidianità prolungano stati d’animo negativi riproducendo falsi sincronismi vitali e ci si acceca di fronte ai simbolismi estetico-romantici ponendo resistenza alla voce dell’Amore sublime che sempre opera nel profondo del nostro inconscio. L’interazione della precarietà umana con la Parola del Padre risulta spesso una interrogazione speculativa della figura di Dio: i palpiti della vita sono incapaci di incarnarsi attraverso la morte da cui non trascendono? La separazione da Dio è comunque un trauma (thàuo in greco significa spezzare, disgregare, distruggere) che avviene ogni qual volta la nostra mente si astrae dall’Anima. Si dice che quando esplose nell’universo il primo nucleo di materia si sentì il suono di una lunga eco nello spazio: la nota più delicata che ancora permane nell’aria e in ogni cosa, può essere ascoltata solo dall’orecchio sensibile del poeta. Solo il poeta, come figlio prescelto, riesce a vedere ‘quell’immobile puntino di luce al centro dell’universo dove ogni cosa si incontra e ogni cosa si interseca’ (Charles Wright). La preghiera fatta arte si afferma come il collante armonico tra il cielo e la terra, come la stella cometa per i magi, punto denso di metafore morbide ed eloquenti di un versetto biblico. Non è facile cogliere il fremito soprannaturale che anima le cose rendendole ‘luminescenti’, non è facile esprimere con l’arte la ‘magia dell’estremo’ illuminando la ‘fiammante oscurità dell’ignoto’. E’ una sfida, oggi, osare l’amore in questo sfondo sociale contraddittorio fatto di universi plurimi.
Rita Pacilio




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