Recensione - Aky Vetere su 'Gli imperfetti sono gente bizzarra' - Rita Pacilio - La Vita Felice 2012






Aky Vetere per Rita Pacilio e "Gli imperfetti sono gente bizzarra"

Il testo: Gli imperfetti sono gente bizzarra, può essere visto come il canto di una sorella lontana che (anche come madre e donna), incontra la corporeità del proprio fratello malato e lo illumina con tutto il suo femminino. In questo abbraccio c’è solo una donna che è capace di sentire e offrire il seno di ciò che per origine le appartiene: l’amore.
Rita Pacilio conosce la sua frequenza, la sua vibrazione. Allegoricamente lo si può guardare simile a una stringa che vibra nell’etere e incrocia, con la sua mobilità, un’elica nucleare capace di trasmettere, generazione dopo generazione la sua copia fedele. Trasversalmente lo si può guardare d’infilata e vederlo apparire invece in forme separate, così come se fosse possibile separare la poetica dal melos, dal canto. La realtà non è così. Il canto di colui, o di colei che ama, si sviluppa con un solo corpo creativo lirico, a tratti ossianico e nascosto, in cui la mente come fosse una gola d’acqua tra due promontori neri, ingoia la risacca per riprenderla bianca come spuma marina. Verso nord-ovest aumenta la scogliera/ si arrampicano le acque/ dove si posa la clemenza/ le alghe consegnano umori tra dita./ Convulsi baci a pieni polmoni/ all’abisso che rimane tra i denti. E’ questa la mente notturna, la mente che nel solco della follia poetica recupera l’imperfezione lavandola con l’amore che, paradossalmente e contro le leggi dell’evoluzione darwiniana non scarta, ma affina, sublima. Gli imperfetti sono gente bizzarra/ lasciati nell’arena, non so dire esattamente,/ come un silenzio, un ghigno./ Ho pensato che Dio ama l’insicurezza/ e le sfumature dei dirupi. Ma per capire tutto questo è necessario seguire delle tappe affinchè la magia dell’amore possa transustanziare una virtù riservata agli eletti, i soli testimoni di quella pietra scartata che diverrà la pietra angolare dei Vangeli. Ecco perché Rita Pacilio contempla la notte ovunque nel suo percorso incrocia il silenzio. Anzi, come nell’artificio dell’inclusione, la notte si riassorbe in solitudine e la solitudine in sogno. L’autrice si domanda: Chissà come sogni quando tutto tace. Tutto il proscenio allora si ambienta, abbiamo detto, entro il canto notturno. Ma è un notturno freddo, autunnale che ha in sè l’ombra della morte. Solo l’amore può contemplare quella oscurità.  Un disegno fatto di assenze, è il progetto dove, finalmente, l’autrice riesce a configurare il senso profondo dell’amore come Phos, luce che, a ritroso (qui è la magia), circoscrive nella consolazione il valore del vuoto freddo e silenzioso per illuminarlo di fuoco divino.

 http://www.lavitafelice.it/news-recensioni-a-vetere-per-rita-pacilio-846.html


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