Recensione - Salvatore Contessini per 'Gli imperfetti sono gente bizzarra' di Rita Pacilio - LVF 2012






I BIZZARRI IMPERFETTI

Sulla bizzarria dell’imperfezione umana, improvvisa, si apre una veduta, simile all’effetto di un ciottolo tonfato in uno specchio d’acqua ferma che ne plasma la superficie con uno stiramento progressivo di concavità estenuante finché la forma liquida, come un cielo elastico, plasticamente si richiude per ricoprirne l’esistenza, nascondendone l’evento e ristabilendo l’equilibrio turbato.
È questo che accade leggendo la silloge di Rita Pacilio: “Gli imperfetti sono gente bizzarra”.
Una proposta che modella la poesia su un tema ostico, spigoloso, privo di insenature rassicuranti; un percorso che misura l’inconsueta organizzazione di un non luogo dove vengono confinati gli imperfetti, concentrati in una bolla di vita che non pulsa ai ritmi cui siamo soliti riferirci. È la descrizione del ghetto della diversità, del rifiuto a integrare la difformità nel flusso della quotidianità dei “normali”.
Sono queste le prime evidenze a cui Rita ci rimanda: folle tra i folli, tramite la follia altrui ci narra della sua, con l’intelligenza che distoglie da sé l’attenzione per portarla là dove occorre riflettere intensamente. È un bel binario che si offre in lettura, interrogazioni con un ordito sociale che hanno una trama individuale. La trama di una sensibilità che coglie le ragioni o lo stato del diverso dopo aver colto le proprie diversità e le proprie ragioni inconfessate, frutto di chissà quali profondi disagi subiti. Avverto quasi una continuità con “Non camminare scalzo”, narrazione romanzata in cui l’autrice si è sperimentata come scrittrice su temi che qui ritrovano una più densa modalità espressiva, che oltre il ritorno alla forma poetica si avvale di un potente mimetismo con passaggi dal “sé” all’“altrui” che arrivano diretti al nocciolo del tema presentato.
In ogni verso viene confermata la descrizione meticolosa della condizione di diversità a cui, per comodità, attribuiamo il termine follia; l’accurata descrizione passa per la folle sagacia con cui l’autrice ne scarnifica l’essenza, privandola di inutili orpelli che più facilmente la rendono accettabile.
Il luogo della perdizione e del ritrovo ha una sua geografia di rimando usata come cornice alla narrazione, centro intorno a cui gravita la catapulta dei pensieri: «Il posto più lontano della solitudine…la composta delle cose».
È il posto delle fragole, uno specchio d’acqua vulcanica che ha sopito il fuoco, il cono tronco incoronato dal bosco sacro di Artemide, una selva di querce e di lecci che ha il lago come epicentro, il Sacro Specchio di Diana Nemorensis, dea delle foreste e della natura selvaggia, regno perduto in cui la selvaggina appare sostituita dalla popolazione degli imperfetti da lucus a silva, «dietro i vetri nessuno suona flautila prigione di mio fratello/ è oracolo timido».
È questa emersione parentale un altro degli indizi che dà il senso della silloge, il carico da sostenere dell’esistenza avversa, il vincolo di sangue che stringe al tormento del ruolo mutato di chi assolve alla cura dell’esistenza altrui: «Noi dispiaciuti li guardiamo enigma senza soluzione».
Con questo nuovo lavoro Rita ci regala un punto di approdo più alto nel suo percorso poetico, ormai giunto ad una maturità palpabile, strutturato con quartine sempre più accorte, ed una cura al lessico e alle figure retoriche che supera le più rosee aspettative. Conferma progressiva di una voce e di una scrittura autentica e potente, che si presenta sempre innovativa con sperimentazioni e temi che fanno della singolarità una delle cifre distintive della sua poesia.

Dicembre 2012

Salvatore Contessini

 http://www.lavitafelice.it/news-recensioni-s-contessini-per-r-pacilio-939.html

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