Recensione - Floriana Coppola su 'Gli imperfetti sono gente bizzarra' di Rita Pacilio - LVF 2012



Una riflessione di Floriana Coppola per la silloge “Gli imperfetti sono gente bizzarra” Poesie di Rita Pacilio
Ci sono libri e raccolte di versi che indicano il viaggio interiore dell’uomo che a stazioni brevi affronta a fatica per risalire alla luce, per accettare una ferita affettiva, così intima,  imparando a convivere con essa, una cicatrice che rimane sulla pelle e brucia, presente come memoria di un legame intramontabile che non si spezza. C’è nella relazione fraterna un laccio esistenziale psicologico indissolubile e talvolta svela una somiglianza celata e dolente, un incontro tra dimensioni che prescindono dalla giostra familiare comune su cui tutti saliamo. Succede così che con alcuni avviene un accordo maggiore, una risonanza che chiama il destino a interrogativi più forti, a una maggiore pressione della vita, sul cuore e sui fianchi del corpo. Come quel masso del mito che oppone forza divergente al passo in avanti.
Chiedo perdono al mondo/ come lo chiedo a te/ per il mio peregrinare stanco/ per l’urlo muto/per la corsa che mi affanna e dice/ Il destino è un cerchio senza fine.
Così Rita, brano dopo brano,  nella sua affabulazione visionaria, racconta il suo doppio navigare assorto tra tempeste difficili da domare e momenti di tregua assoluta, racconta per immagini e metafore delicate e spinte, il suo doppio sforzo di resistere alla vita che cerca di farti affondare nei suoi flutti. Spia nell’inciampo dell’altro il suo cadere ossessivo nella malinconia e trova in un eroico afflato amoroso il desiderio di portare altrove il fratello sulle spalle, come una moderna figlia di Enea portava il padre fuori dalle battaglie, verso la pace. Antigone ha la sua voce e vive attraverso la tenerezza che infonde per il dolore incistato dentro la pelle per la sorte di Polinice.
Sono loro quella composta di cose che ha intristito la vita ai giusti/il falco pallido sul collo/costole che non erano previste./ Loro sono lì, nel posto più lontano della solitudine.
Nel suo poema lirico non indugia in patetiche orme ma sforza la parola, la piega e a parlare dell’altro, con estrema delicatezza, con un pudore che commuove. Vuole decodificare il dolore senza facili suggestioni mistiche, senza cadere nella filosofia dell’espiazione ma per capirlo fuori da ogni filosofia riparatrice. Il dolore è lì che aspetta di venirti addosso, è un cappio alla gola che bisogna guardare con visionaria lucidità. 
I camici verdi gli camminano accanto/ è una lenta collina che si muove/ lacci e aghi senza aroma/ a febbraio che trascorre svelto….. chissà cosa sogni quando tutto tace.
Rita Pacilio allora registra con ossessiva puntualità lirica l’avvento della pace in ogni dettaglio, quando la natura ti viene incontro con le sue meraviglie e i suoi stupori. La poesia indica così la segnatura di un destino, dove la sofferenza è maestra e apre ad altre percezioni che non disdegnano il piacere e l’eros sotterraneo che vive chi, pur conoscendo l’inquietudine e l’inadeguatezza, riesce a intravedere delle luci e a seguirle, prendendo per mano colui che è bendato dalla vita.
La prigione di mio fratello è oracolo timido probabile occhio spia/ una pietra desolata/ nella recinzione gli uccelli dormono/ di là nessuna barca esiste più…..hanno un amore negli occhi/ un presentimento di attesa/ una polvere pronta a sparare /una febbre.
Noi dispiaciuti li guardiamo enigma senza soluzione.
Floriana Coppola

 http://www.lavitafelice.it/news-recensioni-f-coppola-per-r-pacilio-1081.html


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