Recensione - Giuseppe Vetromile legge 'Quel grido raggrumato' di Rita Pacilio - La Vita Felice, 2014




IL "GRIDO RAGGRUMATO" NELLA POESIA DI RITA PACILIO

Siamo forse troppo abituati a considerare la poesia come una forma espressiva che traduce sensazioni e osservazioni prevalentemente pittoresche, belle, luminose, colorite: la natura, il tramonto, i campi verdi, l'amore, la famiglia, e tanti altri aspetti positivi della vita quotidiana. La maggior parte della produzione che nasce dal cuore di tanti, forse troppi, appassionati dello scrivere in versi, verte essenzialmente sulle facili e ovvie composizioni dedicate e/o ispirate ai temi classici e scontati di cui sopra.
Con questo non voglio dire che i testi poetici che descrivono ed esprimono sentimentalismi, visioni idilliache e quant'altro di bello esteticamente ci possa essere nella natura e nell'uomo, siano da sottovalutare o addirittura da irridere: c'è tanta produzione ottima in questo senso, e tanti poeti di valore, dalla classicità ad oggi, che vanno sicuramente rispettati. Mi riferisco piuttosto alla facile caduta di tono e di liricità in altrettante abbondanti produzioni poetiche amatoriali, perché a mio avviso è molto più facile e semplice esprimere, anche con la velleità del dire poetico da parte di tanti, la superficialità evidente delle cose, la linearità e l'ovvietà dello spettacolo cui assistiamo tutti i giorni, come la levata del sole, il tramonto, il fiore nel prato, la madre, il padre, gli amanti che passeggiano sul lungomare. Encomiabile sicuramente l'intento, ma scarso potrà essere, sovente, il risultato artistico. E' dunque difficile, estremamente difficile, a mio giudizio, esprimere l'essenzialità di un tramonto o di una rosa in poesia, senza cadere nella piattezza descrittiva! Il fatto è che la poesia deve trasmettere immediatamente una sensazione forte, deve essere in grado di riassumere, sintetizzando con pochi tratti di penna, tutto il mistero profondo che è celato all'interno delle cose, dell'uomo, della natura, del mondo.
La poesia è un lavoro di cesello, e non importa quindi da cosa possa scaturire, quale sia l'elemento, l'argomento, l'oggetto, il pensiero, che offre l'abbrivio al poeta creatore, anzi al poeta ri-creatore, per poter alla fine comporre l'opera d'arte: un'opera d'arte che è valida di per sé, indipendentemente dall'originaria fonte ispiratrice: che sia un fiore, un'alba, un amore, una morte, una società in errore, dunque non conta.
Ma senza volermi ulteriormente dilungare su queste riflessioni sul perché e sulla funzione della poesia, direi a questo punto che il libro che Rita Pacilio ha realizzato, "Quel grido raggrumato", rispetta sicuramente la mia premessa. Bisogna dirlo subito: è un libro, bellissimo, singolare, unico direi, di denuncia sociale. Per questo mi riallaccio a quanto detto prima. Perché Rita Pacilio ha voluto parlare di cose che molti non hanno né il coraggio né la voglia di narrare e di descrivere: "Quel grido raggrumato" è l'emblema, l'effigie in versi, il documento delle infinite gravi vessazioni, maltrattamenti, stupri fisici e psicologici, violenze di ogni genere, sottomissioni, plagi e quant'altro di negativo la donna ha subito e subisce nella nostra società moderna, nel mondo; e non solo la donna. Esprimere in versi i vari aspetti, le brutture, le scene, le retrovie degradate e pusillanimi di ambienti quasi assuefatti e omertosi, in cui vengono perpretati simili nefandezze, non è cosa che un semplice poeta può fare. Dico semplice intendendo con questo un poeta in erba o un poeta che non ha ancora la stoffa, lo studio e l'esperienza adatta e matura per poter affrontare simili argomenti. Ma Rita Pacilio ci fa ascoltare quel "grido raggrumato", ce lo fa risuonare nel cuore e nell'anima con una forza inaudita, con una veridicità eccezionale, cruda, eppure con grande capacità lirica, tanto da commuovere. E' un miracolo!
"L'hanno tenuta in due come un foglio, un lenzuolo / i polsi e le caviglie erano in una forma che si stira / un mandarino intero riempiva la bocca e la gola / nel chiarore del vicolo divaricato fra le trombe d'aria"... Ecco: è solo un primo esempio della scrittura acuminata, evocativa, di Rita Pacilio, in un brano iniziale della raccolta. Si tratta evidentemente di uno stupro, ma la bontà del dettato poetico di Rita Pacilio è tale da porgere i fatti velatamente, non vagamente, ma con precisione quasi matematica: l'equilibrio tra l'evidenza diretta e il sottaciuto allusivo, quasi allegorico, è perfetto, magistrale! Ed è in effetti così che la poesia è vera, genuina, in quanto assume in se stessa tutto il bagaglio episodico, tutto il narrato, per trasfonderlo su livelli più alti e lirici, dove il non detto, l'appena accennato o sfiorato diventa comunque evidente, evidente soprattutto al cuore del lettore ancor prima che venga da lui interiorizzato razionalmente. E non c'è possibilità di equivoci, in quanto non si tratta di divagazioni allegoriche, di versi costruiti con modalità narrativa per esprimere i fatti, quei fatti nefasti, più o meno velatamente: no, i versi di Rita Pacilio sono strali, ogno verso è una freccia diretta al cuore, e si capisce benissimo di cosa sta parlando, pur esprimendosi in alta poesia.
"Ci sono sentieri che nascondono l'inganno dei lastroni / e le mani dei padroni sono daghe, punte venute dall'est. / Inganna la zeppa nera, si abbevera alla macchia riccia di sole / scruta l'iride abbassata il sonno del cliente, antico padre".
Con un grande rispetto nei confronti della donna, della natura e dell'umanità intera, Rita Pacilio racconta dunque in versi la storia millenaria dei vessati e dei diversi, dei sottomessi, e il "grido raggrumato" è una pietra che opprime il cuore, ma che è anche pronta a spaccarsi, a sgretolarsi, se appena l'uomo, il lettore, prende coscienza di questa realtà amara. Eppure Rita Pacilio compie una denuncia, perché la poesia può anche essere denuncia, indicazione e presa di coscienza, acquisizione e consapevolezza dei propri diritti e doveri all'interno di un consesso civile, di una società che sovente li aggira se non addirittura li ignora o li sovverte persino. Una denuncia forte, sottintesa, che vibra in ogni suo verso, in ogni brano della raccolta. Non è cosa da poco. Perché la parte etica della sua poesia comunque non adombra, non sminuisce la parte lirica, la parte propriamente poetica, ma come dicevo prima la nostra Rita è riuscita a conciliare le due parti, integrandole perfettamente in un unico corpo poetico veramente efficace, di grande pregio.
"Quel grido raggrumato" segue di poco più di un anno il precedente libro, "Gli imperfetti sono gente bizzarra"; ambedue i libri editi da "La Vita Felice", con veste tipografica elegante, tipica della rinomata casa editrice milanese; ed inoltre si intravede, nella raccolta "Quel grido raggrumato", quasi una ripresa del tema già trattato nel libro precedente, ma con confini più ampi e soprattutto con temi più dolorosi.
L'esergo iniziale è particolarmente indovinato, direi perfettamente riassuntivo di tutta la poetica di "Quel grido raggrumato": "A chi rinasce, nonostante tutto". ed è quel nonostante tutto che la dice lunga, che è la summa di tutto ciò che denigra, violenta, stupra, sottomette, abbandona, calpesta: un nonostante tutto che implica e sottintende un grande sacrificio, ma anche una luce nuova, sulla donna e sul mondo, sui diversi, una luce di speranza.
Rita Pacilio non si lascia coinvolgere dai suoi personaggi, lei deve rimanere attenta osservatrice nel descrivere le scene anche le più riprovevoli e raccapriccianti, usando le parole giuste, non per abbrutire ulteriormente il quadro, ma per renderlo più vivo, reale, tremendamente reale, e per raccoglierne contemporaneamente il brivido poetico, la vibrazione lirica più profonda: "Soccombe la bocca di lui, poi il resto. / Molte sentinelle scrutano la forma / sollevata, penetrata, che si muove. / Bisogna essere coraggiosi / a restare fermi, guardare attraverso il buio / sopportare l'odore dell'urina (pag. 30)".
La struttura poematica del libro è varia, dai brani iniziali che si susseguono senza titolo, come per mostrare l'urgenza del dire che non può troncarsi o esaurirsi in pochi versi, alle composizioni centrali in cui è predominante la liricità dei versi, sovente arricchiti da un fuori quadro in corsivo a piè di pagina, che si integra nel corpo poetico con annotazioni in prosa poetica a complemento. Insomma, "Quel grido raggrumato" è un libro complesso e completo, per niente monotono, grazie alla molteplicità degli aspetti narrati e al modo, allo stile, della narrazione poetica.
Completa il libro una pagina di note molto utile per comprendere appieno alcuni termini e situazioni storiche richiamate dall'autrice.
Un'opera davvero eccezionale, bella, originale e di una umanità e sensibilità sconvolgenti.

Giuseppe Vetromile
26/4/14

http://poesia.lavitafelice.it/news-recensioni-giuseppe-vetromile-per-rita-pacilio-2615.html


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