Recensione - 'La Sicilia' Grazia Calanna per 'Quel grido raggrumato di Rita Pacilio, LVF, 2014



La Sicilia 11 giugno 2014 Grazia Calanna per Rita Pacilio
Oggi Cultura

«QUEL GRIDO RAGGRUMATO» DI RITA PACILIO
Quando la poesia
poesia s’interroga sull’individualismo

La poesia dovrebbe sentire proprio il
contesto di ogni civiltà, dovrebbe guardare
in tutte le direzioni territoriali e sociali
per conoscere i limiti dei paesi,
delle aree geografiche che ancora parlano linguaggi
educativi retrogradi e incivili. La poesia deve
viaggiare, se è necessario deve interrogarsi e scegliere
l’alternativa della politica solidale mondiale
per riscattarsi da concetti legati alla meridionalità
e all’individualismo sempre più sordo».
Una riflessione dell’autrice, Rita Pacilio, per introdurre
«Quel grido raggrumato», lancinante raccolta
che, dopo «Non camminare scalzo» e «Gli imperfetti

sono gente bizzarra», chiude, per le edizioni de
«La Vita Felice», la trilogia abbarbicata sui dolenti assunti
dell’emarginazione.
«Ci sono sentieri che nascondono l’inganno dei

lastroni / e le mani dei padroni sono daghe, punte

venute dall’est. / Inganna la zeppa nera, si abbevera

alla macchia riccia di sole / scruta l’iride abbassata

il sonno del cliente, antico padre. / Sono parole

sacre le voci dei bambini, tiepide le fronti / eppure

i glutei hanno croste, boomerang colpiti nel segno

/ fino ai fianchi pulsano inverni consumati domani

/ intorpidite le rupi si muovono come nembi folli le

bufere. Non si aprono fenditure ma canaloni indecifrabili

/ un lappare lento, immaturo / che giunge

all’agitazione tra le natiche della bestia / nel luogo

livido di pianura chiuso in quel grido raggrumato».
«Parlo - aggiunge la Pacilio -, della vendita degli
organi, della prostituzione minorile, della misoginia,
della difficoltà a comunicare nonostante la vicinanza,
il contatto», «L’hanno tenuta in due come

un foglio, un lenzuolo / i polsi e le caviglie erano in

una forma che si stira / un mandarino intero riempiva

la bocca e la gola / nel chiarore del vicolo divaricato

fra le trombe d’aria / il suo esame di idoneità,

la preparazione al primo / cliente la rendeva frutto

acerbo del cactus / desiderato dalla censura di chi si

apre i pantaloni / e spinge guardandosi intorno che

sia coperto / dalla colpa che non si fermerà nella frusta

dei reni / ma sintonizza il morso e il liquido che

cola / dalle due bocche aperte lungo una linea comune

/ in quel triangolo nero da cui escono periferie

e disordine». Versi audaci che «sulle mani esplorano

la via del ritorno». Versi scarlatti, «la scintilla intima

del riscatto acidulo e anticipato», protesi verso
le lampanti gradazioni del rifacimento, a principiare
da un mondo in cui «ognuno perde se

stesso e il chiaro sole». Versi della rifioritura, «Dio

non nega la gloria e la salvezza / i criminali hanno

il loro tempo / un’acqua sul volto, nelle mani

carta bianca», dell’impervia riabilitazione, «È

sollievo giustificare / la responsabilità dell’offerente

/ salvarsi dalla pena ripetuta. / Anche gli

uomini si innamorano».

GRAZIA CALANNA

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